Le barriere non mi fermeranno

Buongiorno, sono l’handicappato, quello sulla carrozzina che sfreccerebbe se non ci fosse la gente. Anche oggi ho deciso di andare a seguire i corsi all’Università, ma l’autobus non ha la pedana per me, non avevo letto l’avviso:

VIETATO DISTRARRE IL CONDUCENTE

VIETATO FUMARE

VIETATO L’ACCESSO AI CANI

VIETATO L’ACCESSO AGLI HANDICAPPATI

Mamma scusami, lo so che devi andare al lavoro, puoi darmi un passaggio? Ti ricompenseró con un bacio se la bocca non se ne và per i fatti suoi. C’é la neve a Fisciano, mamma, guarda che bella! Un ultimo favore, fatti aiutare da qualche studente gentile per farmi superare il marciapiede, sai, é un ostacolo fastidioso per me. Sono dentro, gli affollati corridoi dell’Università mi piacciono, quel via vai infinito di persone, ed io sono lí, nel mezzo, parte del tutto. Sono un po’ lento ma in aula ci arrivo lo stesso, la lezione è già cominciata, entro silenziosamente ma tutti mi guardano lo stesso, salve colleghi, ho il posto riservato, guardatemi, vicino alla cattedra sto bello largo. Ora sono pronto a concentrarmi sulla lezione del giorno, devo solo togliermi il giubbotto, un braccio alla volta, dai su, uno-due-tre, niente, sforzo non ripagato. Purtroppo oggi il tutor non ce l’ha fatta ad esserci, l’ho rassicurata, ce l’avrei fatta anche senza di lei, non posso tradire la promessa. Riprovo ancora, un braccio, devo liberare solamente un braccio ed il gioco è fatto, emetto un mugugno di fatica, alcuni tra i banchi ridono, di me? Professoressa non è che lei potrebbe… Ah, capisco, sta spiegando e perderebbe il filo del discorso, non si preoccupi, a breve prendo appunti. Sono costretto a chiedere aiuto ad una ragazza dei primi banchi, cordialmente mi libera dalla camicia di forza, la infilerò più tardi se sarà necessario, disturbo ancora la mia amica chiedendole di tirare fuori dallo zaino (posto dietro la carrozzina) il quaderno e gli occhiali da vista, la vista, un mio piccolo innocuo handicap. Porca miseria, la professoressa viaggia spedita come un treno, n’attimo eh! Devo ancora imparare a tenere la penna senza tremare, gli spasmi mi martellano nel cervello e scavano fossi di rabbia che accumulo e poi, in seguito, reprimo. Decido di intervenire anche io, voglio dire la mia perchè le cose le so, le parole mi escono male, che figura di merda, che avrò detto? La prof. annuisce e sorride, ma se non ho detto niente…

Che vitaccia quella dello studente universitario, la lezione sta per volgere al termine e devo scappare (si fa per dire), altra aula altro corso, altro giro altra corsa (mi sarebbe piaciuto andare al luna park). Saluto l’insegnante e i miei colleghi, la loro risposta è un coro altisonante, dopotutto faccio sempre pietà, sarebbe scortese non degnarmi di uno “ciao”. Ringrazio i miei eroi di giornata: la ragazza (che ha anche riposto gli oggetti nello zaino) ed un ragazzo in un maglione bordeaux che mi ha aperto la porta, i suoi occhi non li dimenticherò mai, scoppiavano di rabbia (quella che io reprimo) e di tristezza, quest’ultima mi viene durante la notte.le barriere non mi fermeranno

La signora che mi sedusse

La signora che mi sedusse la conobbi alla mia festa di laurea , fu invitata a casa dai miei genitori. Me la ritrovai in camera, dove riflettevo sul mio futuro mentre all’esterno delle mura le luci brillavano nella notte ricolma di attesa e di tensioni universali; avrei voluto che lo spazio ed il tempo si contraessero fino ad esplodere in miliardi di brandelli di carne che piovono sulle auto del pianeta. Margaret salì le scale con una scusa banale: non trovava il bagno, le indicai la strada ma rimase lì a fissarmi, per un momento mi sentì prenetrare dentro, era il suo fascino da donna matura, irraggiungibile per tutti, per gli altri, tranne per me. Le dissi che non mi stavo divertendo, che la mia festa ripiegava sull’apatia totale, sul disinganno che emerge dagli auguri ricevuti, eppure lei non si piegò di una virgola ed era in attesa, non riuscivo a capire di cosa. “Giurami che puoi capirmi – iniziò a parlarmi cosi, deve essere stata dura all’università, avrai sofferto un bel po’ ma ora prima che tu mi cacci da quella porta, rispondi a questa mia domanda: Come ti sembro?”. Dio santo, la moglie del collega di mio padre in camera mia, che mi osserva e che mi pone dei quesiti dalla dubbia finalità e dall’ambigua valenza, dovevo andare immediatamente a bere qualcosa di forte. Le implorai di lasciare la stanza facendole capire che avrei dimenticato tutto, la sua domanda e la sua venuta. Mi chiese di accompagnarla a casa perchè il marito si era addormentato e non sarebbe venuto a prenderla, mi aveva incastrato ma le proposi di chiamare un taxi, anzi, glielo avrei chiamato io stesso. Non era d’accordo, voleva salire sulla mia macchina, desiderava vedermi guidare nelle ultime ore del giorno, mentre tutto stava finendo. Dopo un po’ acconsentì alla sua richiesta e scendemmo fianco a fianco, tra gli invitati e i miei genitori, Margaret mi sorrise e si avvinghiò alla spalla destra. Durante il tragitto pensai alla laurea ottenuta e la radio passava gli Smiths, avrei lavorato fin da subito? Ma avrei realmente trovato ciò per cui ho sacrificato me stesso e le mie pulsioni arrendevoli? Sta di fatto che stavo riportando a casa una donna vent’anni più vecchia di me. Sull’uscio della porta d’ingresso mi fece un’altra richiesta: “Ti prego, non te ne andare subito, beviamoci qualcosa insieme, fammi compagnia solo per qualche minuto”, accettai. Bevemmo un paio di bicchieri dell’eccezionale Château d’Yquem, un vino tanto pregiato quanto mistico. Fumammo un po’, lei era particolarmente brava a farlo, mentre teneva la sigaretta tra l’indice e il medio, con il pollice andava a sfregare sull’anulare, con delicatezza. Non avrei resistito a lungo e allora feci per andarmene ma lei mi afferrò la mano e l’accarezzò, poi la portò al suo viso (lasciai andare completamente i muscoli e le articolazioni) e si accarezzò le guance per poi scendere fino al suo collo levigato. Margaret mi spaventava, lo ammetto, non ero pronto a nulla, e se mai lo fossi stato anche solo per un momento, avrei immediatamente riflettuto sulle conseguenze che avrei potuto generare abbandonandomi alla tentazione del piacere. Margaret iniziò a spogliarsi lentamente (questa volta senza fiatare), la seguivo passo passo con gli occhi, per la sua età era una donna incantevole, annoiata. Mi vergognavo e lei lo stava capendo, quindi spense la luce e slacciandomi la cintura dei pantaloni pronunciò a bassa voce: “Congratulazioni, dottore”.

Ingenuamente mi travolse la passione, ero compiaciuto ed appagato, stavo bene e anche lei non se la passava male, cosa che avevo percepito dall’intenso abbraccio dei nostri corpi spogli, freschi come l’acqua del primo tuffo estivo. Ci rivedemmo spesso, il nostro nido che simulava l’evasione divenne una camera d’albergo, un qualsiasi giorno della settimana scopavamo, sempre al buio, sempre soli insieme.dustin-hoffman-and-ann-bancroft-in-the-graduate-1967